Il gioco della vita
Il suono sordo e il profondo tremore come sempre mi risvegliavano e, mentre il ritmico battere del
maglio di mio padre mi riconduceva alla sicurezza della casa e del lavoro, mi stropicciavo gli occhi
godendomi il più possibile il caldo tepore del letto sotto le pesanti coperte. Fuori da queste mi
attendeva la mia stanza gelida e il perfetto spettacolo geometrico dei cristalli di ghiaccio che
decoravano la finestra, risplendendo al sole di molteplici suggestioni cromatiche.
Tale visione folgorava la mia sensibilità e forgiava la mia natura. Il fascino della forma l’ho sempre
subito e nell’officina di mio padre, fabbro che plasmava quotidianamente la materia incandescente,
non mi mancavano stimoli.
Nella mitica memoria dell'infanzia altre potenti immagini affiorano in superficie: i pomeriggi
assolati trascorsi ai bordi dei ruscelli a pescare, le serate autunnali a inseguire i cani da punta fermi
sulla preda, ma niente è paragonabile alla casuale esperienza iniziatica che, in qualche modo, mi ha
indicato la via.
In un estivo pomeriggio di giochi, come tanti, rimasi folgorato, nel cortile, dalla plastica bellezza di
un oggetto metallico che risplendeva al sole. Si trattava del vomere di un aratro, che attendeva
l'intervento di mio padre.
In un anfratto dell'arnese, trovai un pugno di terra: era morbida e si deformava piacevolmente se
stretta dalle mie mani. Poteva diventare tutto ciò che desideravo.
Subito corsi in camera e trasformai quella massa malleabile in un oggetto banale, ma consueto a
quei tempi: un salvadanaio a forma di chioccia che cova nel suo cestino.
Dopo averlo colorato con dovizia di particolari, ho mostrato il piccolo manufatto ai miei genitori, che,
sorpresi dalla mia bravura, hanno inconsapevolmente rafforzato la mia istintiva propensione.
Lo squillo del martello sull'incudine ritmava anche la mia giornata nella scuola elementare, dove la
maestra, attenta custode del mio talento, mi guidava nella scoperta del fantastico mondo vegetale e
animale, che io disegnavo con bramosia.
La stessa costante volontà di creare immagini e oggetti ha spinto l'insegnante della scuola media a
farmi incontrare uno dei luoghi più significativi della mia vita: l'allora neonato Liceo Artistico di
Cuneo. Qui finalmente mi sono sentito a casa: in questo nuovo mondo che magicamente mi si è
spalancato davanti, grazie all'insegnamento dei miei maestri, il mio naturale e grezzo istinto
creativo ha trovato nuove, più consapevoli vie d'espressione. La disciplina del disegno, la memoria
dell'arte nella storia, il metodo e la conoscenza plastica hanno reso il gioco più interessante.
Per quarant'anni, con la parentesi dell'esperienza accademica nella città di Torino, ho avuto la
fortuna di perpetrare questo gioco insieme ad una schiera di allievi, affascinati come me da questo
caleidoscopico mondo figurativo.
Analogamente nel chiuso del mio studio ho continuato per una vita intera, come Aureliano Buendia,
a creare, fondere e ricreare gli stessi pesciolini d'oro in un infinito gioco che percorre la mia
esistenza.